martedì 26 agosto 2008

Scarpette rosse (Aschenputtel)



a chi va nelle fiabe la sorte meravigliosa?
A colui che senza speranza si affida all’insperabile”
Cristina Campo


I. scarpette rosse
Poche tracce per fare casa
rammendi alla tela del tempo
scampoli di fiabe chiare
si accende un bagliore d’infanzia
tra la tavola e il bicchiere
cavallo imbizzarrito di memorie.
Fiore intrappolato nella polvere
cerco il tuo cuore nella burrasca

Tu piccola cenere
paradiso perduto
scarpetta di neve
trina di vetro
il tuo minuto regno alloggia
all’ombra di una mensola
nelle voci di casa
che s’impigliano al vestito
nei fiori di stoffa dov’è luce fioca
nella bianca stoviglia
incastro di foglie.
Quando la madre erbosa si piega
a fecondare l’incanto
ingenui altari di rami innalza
scaldando una preghiera
a ricucire le sponde della tana.

Ma tutto a volte pare incarbonirsi
Scarpette rosse - presagio
di duri coltelli e spine
di mandibole aperte
ginocchia scorticate
chiami il riparo di un guscio d’uovo
getti briciole nel camino
pregando che la fame aspetti
che la colomba soccorra la nidiata.



II. Invocazione alla fata madrina

“nell’orrore della selva, la fata madrina
reca allo sperduto portentosi alimenti”

Cristina Campo

Madre fata madrina
scodella di farina
sorella di latte
radice bambina
madre amalgama di stelle
piegatura del sonno
sciame di farfalle.

Madre sigillo della notte
foresta che s’inchina
acqua che s’increspa
fata turchina
schiera di pensieri
cuore armato
misterioso roseto.

Madre dono agli attenti
delta di parole
orecchio premuroso
bussola ai naviganti
madre verità scalza
cerimonia chiara
portami alla saldatura con il mondo
nel tronco rugginoso
nei solchi della corteccia
conducimi al midollo della rosa.

Madre di pelo per scaldare
di pietra dura per stare saldi.
Sorreggi il petalo
fai brillare lo stelo
tieni il filo teso.


III. La più bella del reame

Alta la scure della notte
affonda la sua lama
e scorre sul bordo di corolle,
sfiorando tenere gole.
E tu matrigna,
decapitata regina,
pieghi il canto della luna
a un segreto di spine.
La sorte è ordigno nelle tue mani.
Quest’ora d’ incauta bellezza
è d’intralcio al tuo reame
lo specchio t’impedisce il gioco.
Finché tesa sarà la pelle delle rose
farai sterminio di eredi
concerai pelli d’animale mite.
Sei tu matrigna, assurda contesa
sconcia battaglia agone
stordisci di vanità le parole
in perdite consumi fulgide ali.


IV. cenere (vestale)

Quando spezzato l’incanto
il fiore s’inceppa
lei sa tornare alla neve
cauta nel bianco terso.
Vagliando chicchi nella cenere
preme fatali dita a levante.
Tra stracci di luce impara
il segreto regno della selva
scaccia la stretta dell’orco
piantata sullo sterno.
Gettato il seme nella boscaglia
un albero si curverà a sfamarla
pulsante di sterco e di rovi
d’ erba la rivestirà e scorze d’attesa.
Per troppo sapere d’ombra
tagliole affilate pupille di lupo
con rintocco di nidi drappi di piume
per lei armeranno l’ago del cuore
stillante di promesse.
Per lei serberanno scorte di cielo.


V. strettina è la scarpetta

Voltati guarda c’è sangue nel piede
strettina è la scarpetta
la sposa è ancora nella casa.

Girati senti come ringhia quel piede
verdina è la scarpetta
la rosa è ancora nella casa.

Voltati e bada: nessuno ci crede
cortina è la scarpetta
la sposa ancora non si è arresa!

Girati ascolta! c’è fango che stride
bugiarda è la scarpetta
la sposa è in preda all’ira, offesa.

Volgiti ammira! Fedele è il suo piede
piccina è la scarpina
la sposa è finalmente presa!





VI. bambine

Bianche di viso nere di cuore
bambine di fiele capelli di viole
streghe spinose ali ferrate
della sorella nemiche ostinate.
Cucire lo strappo il buco l’inganno
smorbare il giardino dall’assillo
il cielo specchiante dovrà rivelare
il miele operoso dell’anima premiare.


VII. cerimoniale della danza
Tread softly because you tread on my dreams

W.B.Yeats

Venisse il vento
ad alleviarmi il passo
Venisse il candido vento
a custodire la mia denutrita speranza
a sollevare i fondali
a liberare caviglie per la danza.

Venisse la sabbia ad attutire la smania
di vivere senza incontrare
la tua nobile sete.
Venisse lo schietto vetro che ci rivela
il vuoto come un dono del tempo
la crepa che ci libera il sangue.

Venisse la voce a sciogliere
le tiepide mani
a portare bocche rosse
come papaveri
e cesti intrecciati di parole.

Nuovi piedi corrono per il mio giardino
mietono danze per l’avvenire
scongiurano secche del campo
smuovono la terra
affinché l’erba industriosa
in firmamenti cresca.


testi di Vanessa Sorrentino
protetti da copyright

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